San Giuseppe custode della casa di Nazaret – L’autorità come servizio per custodire la casa della fraternità

Religiose dei Sacri Cuori di Gesù e Maria

Il tema che mi è stato affidato: San Giuseppe custode della casa di Nazaret. L’autorità come servizio per custodire la fraternità, ha suscitato subito in me un’espressione di meraviglia, di gioia, in quanto mi si offriva ancora la possibilità, quest’anno, di pensare a san Giuseppe e quindi intensificare il mio amore per lui. Non vi nascondo che fino a pochi mesi fa dicevo di conoscere e amare san Giuseppe, ma non ne ero sicura. Accolto l’invito a rileggere, in un momento particolare di mie perplessità, Mt 1, 18-24 ho goduto, nella lettura e meditazione del testo, di quella luce che mi ha permesso di capire, mi auguro un po’ di più, la grandezza di Giuseppe; per questo sono particolarmente grata a chi mi ha illuminata in quella occasione.
Con voi, oggi, prego il santo perché ci aiuti nella docilità allo Spirito Santo, dolce ospite dell’anima, che con pazienza aspetta di costruire la nostra casa.
Il nostro fondatore Francesco Saverio ci affida san Giuseppe e il cuore di Maria, come mezzi di aiuto e stimolo fornitici da Dio a poter sempre più e meglio avvicinarci, penetrare ed innestarci nel Divin Cuore adorabile del Redentore. (RR 34)
Nella nostra storia ci sono state tante suore che hanno avuto una particolare confidenza con san Giuseppe, una fra tutte madre Chiara Coccia; ella appena eletta madre, giunse nella cappella dell’ Istituto, corse ai piedi di san Giuseppe e lo pregò perché facesse lui da superiore e padrone in quella casa. Sono note a tutte noi alcune sue storie riportate anche nel libro “Pomeriggio di fuoco”, sembrano fioretti, ma testimoniano la fede concreta nei santi che intercedono presso il cuore di Dio. Molte di noi ricordiamo la maestra sr Nicolina che ogni mercoledì ci invitava a fare festa e a cantare in onore di san Giuseppe; la festa si concludeva con la distribuzione di un confetto, il classico cannellino. Erano momenti belli e sicuramente non banali, se li ricordiamo con tanta gioia e nostalgia; ben vengano ancora.
Anche qualche nostra casa è stata messa sotto la sua protezione: Arce, sant’Antonio abate, in via Roma, ora chiusa; nella casa generalizia troneggia quasi nascostamente, perché anche da santo l’umiltà non lo abbandona, l’immagine di Giuseppe con la scritta: Sono il custode di questa casa. Che questi ricordi e semplici segni possano toccare i nostri cuori appassionarli sempre più per il Signore, ma anche aiutarci a riconoscere la grandezza di Dio nei suoi santi che sono per noi eletti strumenti e salutari canali posti da Dio in seno alla sua chiesa. (Rr 25)
Per la nostra riflessione teniamo presente il vangelo di Matteo e di Luca; essi sono gli unici evangelisti che ci riferiscono espressioni riguardanti gli atteggiamenti di Giuseppe.
Richiama la mia attenzione il fatto che Matteo in 1,16 affermi che «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria» Sono portata per questo a fare subito l’ accostamento tra Giuseppe, figlio di Giacobbe, chiamato dai fratelli il sognatore, non amato e per questo venduto ai mercanti Madianiti e il nostro Giuseppe che come lui scende in Egitto per proteggere la vita del suo Gesù. I due sono coinvolti nel linguaggio dei sogni; grazie ai loro sogni Dio può realizzare il suo sogno, realizzare il progetto della salvezza. Giuseppe, con il grano fatto depositare nei granai, salva la sua famiglia e soprattutto riabbraccia suo padre, Giacobbe, scesi in Egitto per acquistare il grano: « Là io ti darò il sostentamento, dal momento che la carestia durerà ancora cinque anni, perché non debba cadere nell’indigenza tu, la tua famiglia e tutto il tuo avere» (Gn 45, 11); il nostro Giuseppe con la sua docilità, la sua fede, con la sua prontezza a quanto aveva contemplato nel sogno custodisce la vita di Gesù, il chicco di grano che macinato sarà il vero pane, e chi ne mangerà non morirà in eterno, perché «Chi mangia di questo pane vivrà in eterno» Diciamo che il sogno è tutto quanto viene conservato nel cuore e meditato nel silenzio. Questo silenzio, nel Cantico dei cantici, è paragonato al sonno della sposa; lo sposo proibisce espressamente alle amiche di svegliarla prima che ella lo voglia. «non destate, non scuotete dal sonno l’amata, finché essa non voglia» (Ct 2, 9) San Gregorio Magno, san Bernardo e molti altri padri applicano queste parole alla contemplazione e all’orazione nel silenzio, perché colui che dorme non parla a nessuno, non vede e non sente nessuno. Così è del silenzio interiore, nel quale si è molto sobri di relazioni con le creature. Quello che avviene nel corpo con il sonno, che rinfranca e ristora le membra, lo stesso ha luogo con il sonno dell’orazione. Nel sonno non si oppongono resistenze e qui appunto avvengono le scelte di Giuseppe; egli si lascia attraversare nel momento di intenso abbandono e di contemplazione del mistero di Dio; Dio si comunica così a Giuseppe attraverso il linguaggio del profondo, attraverso questo arcano dialogo gli indica il da farsi: Giuseppe non temere; parti, ritorna. Così si realizza in Giuseppe una stupenda docilità; egli non discute, ma, nell’ossequio alla parola a lui detta, accetta il suo compito: «Non temere di prendere Maria quale tua sposa, poiché quel che è nato in lei è opera dello Spirito Santo» (Mt 1,20).
San Bernardino da Siena afferma “Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall’eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr Mt 25,21) ”
Dio ha riversato i suoi doni in Giuseppe; Giuseppe ha lasciato libero campo al Signore, e gli ha permesso di adornarlo delle gemme dell’umiltà e del silenzio.
Giuseppe è un uomo comune, che fa cose ordinarie, è umile; anche per lui sono giuste le parole di Maria “ ha guardato l’umiltà della sua serva” Nessuna parola di lui ci è ricordata: vi si parla unicamente del suo contegno, della sua condotta, di quanto ha fatto: e tutto in silenzioso nascondimento e in perfetta obbedienza.
Ha una bella intuizione Paolo VI nell’omelia del 19 marzo 1968:
“Potremmo quindi ignorare questa figura, non soffermarci dinanzi ad essa? No, affatto: poiché non capiremmo, in tal caso, la dottrina insegnata dal Divino Maestro: la Buona Novella sin dalla prima sua forma caratteristica, quella d’essere annunciata ai poveri, agli umili, a quanti hanno bisogno di essere consolati e redenti. Perciò il Vangelo delle Beatitudini comincia con questo introduttore, chiamato Giuseppe. Ci troviamo di fronte a un quadro incantevole, e che ciascuno di noi, se fosse un artista, potrebbe ideare solo in maniera inadeguata. Ma ecco: proprio Gesù ci presenta questo suo introduttore, questo suo custode e padre putativo, nelle forme le più umane, le meno solenni, quelle a tutti accessibili”.
Giovanni Paolo II, che era molto devoto di san Giuseppe, ci ha lasciato una mirabile meditazione a lui dedicata nell’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, “Custode del Redentore”. Tra i molti aspetti che pone in luce, un accento particolare dedica al silenzio di san Giuseppe. Il suo è un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal “padre” Giuseppe Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presupposto dell’autentica giustizia, la “giustizia superiore”, che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli (cfr Mt 5,20).
Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero “nascosto da secoli”, che “prese dimora” sotto il tetto di casa sua. Colui che visse di silenzio fu colui che per primo ascoltò la Parola. A colui che visse nell’oscurità della vita quotidiana fu dato di contemplare per primo la luce che illumina ogni essere umano che viene in questo mondo, Gesù. Paul Claudel scrive ad un amico:«Il silenzio è il padre della Parola. Là a Nazaret vi sono soltanto tre persone, molto povere, che semplicemente si amano. Sono loro che cambieranno la faccia della terra». Il silenzio di Giuseppe è il silenzio del Padre. Il padre Giuseppe rappresenta il padre celeste; il Padre, nel seno della Trinità rappresenta il Mistero senza nome e senza parola; Egli è il silenzio da cui nascono tutte le parole. Colui che parla è il Verbo. Senza Giuseppe Maria sarebbe stata ripudiata, non avrebbe avuto un focolare, il Verbo non sarebbe entrato in una famiglia umana, non sarebbe stato protetto quando nacque in Betlemme e non sarebbe stato difeso quando dovette fuggire in esilio. Tutte queste azioni si fanno nel silenzio. Il silenzio è l’essenza di colui che egli rappresenta e personifica: il Padre celeste. IL silenzio di Giuseppe mostra la fecondità del non parlare, ma del fare; del non esprimersi, ma dello stare al posto giusto con la propria presenza e azione.
Questo Giuseppe contemplativo, docile, umile, silenzioso, è il custode della casa di Nazaret.
Leggiamo in Lc 1, 26-28 «Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse:« Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» Giuseppe gia da ora è chiamato a custodire la casa, perché già faceva parte di Maria, in quanto la Vergine il suo primo sì l’ha detto prima ancora che a Dio, l’ha proferito all’amore di Giuseppe.
La metafora della casa ci aiuta a passare dalla discendenza, o dall’edificio all’interiorità di chi vi abita. La casa è il luogo dove si accolgono gli ospiti, ma anche il luogo dove si vive l’intimità familiare, in un grande raccoglimento, lontani dalle cose di fuori, per una maggiore attenzione rivolta a sé per stare accanto a qualcuno. La casa è in realtà Maria stessa; ella è raccolta in sé per ricevere in modo adeguato il grande Ospite. Raccolta e ospitale sono le caratteristiche proprie di ogni casa, Maria sarà così la casa di Dio. Giuseppe è chiamato a custodire questa casa, la casa di Maria che porta in sé la tenda di Dio, ma egli l’uomo innamorato decide di lasciare la fidanzata, per rispetto non per sospetto, e non vuole denunciarla pubblicamente; egli continua a pensare a lei, a lei presente perfino nei suoi sogni; la prende infine con sé preferendo Maria alla propria discendenza, scegliendo l’amore invece della generazione. È l’uomo dei sogni: il carpentiere è anche il sognatore, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito dall’amore e dai sogni. Ognuno agisce in base a ciò che ha dentro, e che nel sonno emerge in libertà: l’uomo giusto ha i sogni stessi di Dio. È l’uomo di fede, che vorrebbe sottrarsi al mistero, ma che poi ascolta e mette in pratica, uomo concreto dà il nome a colui che è il Nome; fa sua la parola con cui Dio da sempre rivolge all’uomo: non temere. Giuseppe non ascolta la paura, diventa padre di Gesù, anche se non è il genitore. Generare un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo, questa è tutta un’altra avventura. Giuseppe è la figura di ogni uomo, si tiene aperto al mistero, ma mostra anche tutte le nostre resistenze ad aprirci a ciò che è più grande di noi, anche se per questo siamo fatti. Per lui vale davvero il primato dell’amore, accogliere Maria e il dono che lei porta. Dopo dubbi e sogni Giuseppe la prese con sé. Come Maria anch’egli scava spazio nel suo cuore per accogliere il bambino estraneo. Giuseppe, messo a nudo dalla prova scopre di amare quella donna, di amarla anche senza volerla possedere come cosa sua. Questa è verginità: amore senza possesso. Dal possedere al proteggere è il percorso di ogni amore vero. Maria diventa se stessa accolta e accogliente nella casa del falegname. Maria nella casa di Giuseppe è ospitata dentro uno spazio di dono. A sua volta essa accoglie e ospita in sé la vita di Giuseppe. Il femminile ha come carisma quello di essere «l’accoglienza ospitale per eccellenza» (E.Levinas).
Maria e Giuseppe sono sollecitati da un ordine dell’imperatore ad andare a Betlemme per il censimento; in questo primo cammino insieme appare tutta la cura di Giuseppe per la sua sposa cercando per lei un posto sicuro, una grotta riservata agli animali, dove nacque nel silenzio, nella notte «Gesù (che) ha fatto risplendere la vita» (2 Tm 1,19), il Salvatore del mondo; egli messo in una mangiatoia, diventa per tutti il vero pane disceso dal cielo. Giuseppe si prende cura di questo grano che macinato sarà la salvezza degli uomini. Gli occhi di Maria e Giuseppe sono rivolti a Gesù che li riempie della sua luce e del suo mistero; entrambi adesso hanno occhi e cuore solo per lui ancor prima dei magi Maria e Giuseppe si sono prostrati e lo hanno adorato; adorano semplicemente un bambino, si fanno piccoli davanti all’infinitamente piccolo e lo amano nella sua natura umana per giungere alla sua divinità.
Particolare preoccupazione e cura Giuseppe mostrò quando un angelo dentro l’umile via dei sogni dice a Giuseppe: « Prendi il bambino e sua madre e fuggi» (Mt 2,13). In questo contesto di paura e di angoscia, Giuseppe :«destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto» (Mt 2, 14). In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passò attraverso l’Egitto. Come Israele aveva preso la via dell’esodo «dalla condizione di schiavitù» per iniziare l’antica Alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la Nuova Alleanza.
Per tre volte i re e Giuseppe si contrappongono. Erode cerca il bambino, Erode muore, Archelao fa paura. E per tre volte Giuseppe sogna e qualcosa come un granello di sabbia dentro l’ingranaggio della storia apre una breccia da cui passa una storia nuova. So che mio figlio tornerà dall’Egitto. La casa di Nazaret è la santa e dolce dimora dove Gesù fanciullo nascose la sua gloria, Giuseppe addestra all’umile arte del falegname il figlio dell’altissimo e dove Maria con la sua presenza fa lieta la sua casa. Questi versi dell’inno della liturgia ci aiutano a comprendere la vita in quella casa. Casa dove è possibile trovare Dio nei gesti; casa del lavoro e del riposo, casa dove si parla al cuore dell’uomo.

L’autorità come servizio per custodire la casa della fraternità.

In questa seconda parte, vorremmo anche chiederci con molta pace interiore come abbiamo vissuto quest’anno, secondo il programma, Discepole e missionarie di Gesù, la missionarietà del servizio a cui è chiamata l’autorità. Nel preparare questa riflessione ho accompagnato i miei momenti di studio con la preghiera perché quanto gradualmente prendeva forma nella mia mente potesse soprattutto riempire il mio e il vostro cuore e con la luce della grazia divina potessimo tutte acquistare la sapienza del cuore, ritornare a contemplare la bellezza della vita consacrata che come quella di Gesù è testimonianza della gratuità dell’amore nel dono di sé e una epifania dell’amore gratuito di Dio. La vita consacrata vuol essere, per disegno divino e non per progetto umano, una presenza dell’assoluto, un servizio di amore, una testimonianza profetica che come Cristo, esprime la elevatezza della trasfigurazione e della kenosi della croce, unita al servizio nella lavanda dei piedi. La vita consacrata diviene così una delle tracce concrete che la Trinità lascia nella storia, perché gli uomini possano avvertire il fascino e la nostalgia della bellezza divina. In questo lasciamoci condurre dallo Spirito per vedere e gustare la bellezza, la luce, l’immagine di Dio che ognuna di noi porta in sé. Questo non può che portarci gioia e pace impegnandoci ad essere guardiani contemplativi di noi stesse.
L’autorità come servizio, capace di svuotarsi completamente è una sola, quella di Dio manifestatasi in Gesù, che uscito dal seno del Padre, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce.
Il comportamento di Gesù nell’ultima cena, con la lavanda dei piedi, pone un principio di governo: “Vi ho dato l’esempio perché, come ho fatto io facciate anche voi” (Gv 13,15) Imparate da me l’umiltà e la mitezza. Tra i santi che hanno imparato da Gesù, a noi sono cari in modo particolare Francesco e Chiara. “Chiara entra profondamente nel mistero di Cristo povero e crocifisso. La povertà, il rinnegamento evangelico di sé , l’umiltà che retrocede e fa spazio, come aprono alla pienezza del possesso contemplativo di Dio,aprono ugualmente alla pienezza del rapporto fraterno, fanno gruppo, fanno chiesa: i due comandamenti dell’amore sono uno. La fraternità di Francesco e dei suoi frati è calata in un contesto femminile, senza nulla perdere della sua freschezza evangelica. « Conservare sempre reciprocamente l’unione della scambievole carità, che è il vincolo di perfezione (Reg. X,7) è il programma di Chiara, sorella tra le sorelle «che il Signore le ha donato» e madre tra le figlie, verso le quali si sente investita di premurosa responsabilità (cfr. Leggenda di santa Chiara, 38 )” Chiara Augusta Lainati, Introduzione Scritti di santa Chiara.
Chiara di Assisi si presenta come indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne povere; come per Francesco, così per lei l’autorità è soprattutto un’enorme responsabilità; ella riprende perciò la Reg. non boll. c. 4,6 e c. 5,1 incentrate sul passo evangelico di Cristo venuto non per essere servito, ma per servire ed esorta a presiedere con la vita più che in forza dell’ufficio: Si studi anche di presiedere alle altre più per virtù e santità di vita che per ufficio, affinché le sorelle provocate dal suo esempio, le obbediscano più per amore che per timore. FF. 2776.
Nelle nostre Regole, al n. 55 viene riportato un verso della lettera agli Ebrei affermando che «…vegliano essi, (i superiori) come devono rendere conto delle anime vostre» Bella anche questa immagine del vegliare, che richiama l’essere del buon pastore che guarda le sue pecore, le difende dagli assalti del lupo, le conduce al pascolo, le ama, le conosce e le chiama per nome.
Le regole originali che scandiscono il nostro cammino formativo non presentano l’identikit della responsabile di comunità, ma mirano alla edificazione di case che si modellino sulla santa famiglia di Nazaret, dove non vi era niente affatto che si sentisse di predominio di umana volontà: signoreggiava in quella unicamente e sempre da padrona la volontà di Dio e ancora nella casa di Nazaret i cuori di Maria e Giuseppe battevano all’unisono con quello di Gesù che dir si possono un cuor solo e un’anima sola. (cfr. RR 44- 45 )
Mi sembra di capire che ritorna sempre l’invito alle vittime dei Sacri Cuori ad essere una sola cosa con Dio e tra noi, mirando così, sempre, al progetto iniziale di Dio. Egli creò l’uomo non solo con l’anima ricca di tante doti naturali da farne una bella immagine simile a Lui, ma profuse ancora in seno a quella, tale abbondanza di grazia, da metterlo a parte della sua divina natura e così rendere quella immagine pura, santa, perfetta e riverberante in sé quella Divinità di cui era ritratto.
Questo però poteva conservarsi unicamente per mezzo di’ una stretta, costante, amorosa unione col suo divino Originale.
Al n° 46 …di quante saranno congregate nella casa delle Vittime dei SS. Cuori di Gesù Giuseppe e Maria si vuol ripetere quello che scrisse negli Atti degli Apostoli lo Spirito Santo, dopo esser disceso e aver riempito il cuore dei fedeli: E la moltitudine dei credenti era un sol cuore e un’anima sola. (At 4,32).
Il primo servizio che l’autorità rende alla fraternità delle Religiose dei Sacri Cuori è quello di essere con le consorelle avviata nel cammino di conformazione a Cristo indicato nelle Regole originali. Ritornando alla figura di Giuseppe vorrei considerare con voi la bellezza del fare casa. Giuseppe che prende con sé Maria e Gesù li accoglie prima di tutto nel suo cuore che diventa la vera casa. In quella casa contempla nei suoi sogni il capolavoro di Dio. La casa non è soltanto abitazione, ma il luogo dove accadono gli eventi decisivi della vita. Chi ti avvicina e ti tocca entra in te e ti cambia la vita, perché sei portato a fargli spazio, perché colui che entra in te porta nuovi semi e sollecita e risveglia le sorgenti della vita. Lasciamoci toccare da Dio e dalle sorelle per vivere relazioni d’amore e per generare un futuro insieme. Questo è il sogno di Dio: che tutti siano una sola cosa, che nessuno sia privato dell’amore, che nessuna casa sia senza festa; questo è il miracolo da chiedere anche per le nostre fraternità: essere strette da un forte vincolo di carità, che genera pace e gioia per tutti.
L’autorità è chiamata ad accogliere nella sua casa il Cuore sostanziale della Santissima Trinità, lo Spirito Santo perché ne prenda ampia possesso, ne investa ogni fibra e la apra all’Amore senza limiti e senza fondo. Si potrebbe dire che Lo Spirito Santo e la donna hanno alcune caratteristiche comuni: accogliere, custodire, prendersi cura, far crescere, educare, far vivere. Là dove una donna si lascia condurre dallo Spirito Santo, la vita fiorisce e tutto si apre a una misteriosa fecondità, nascosta agli occhi, visibile nei suoi effetti. Più si lascia plasmare dallo Spirito, più esprime quella dimensione materna che orienta con chiarezza e guida con dolcezza.
Via le lotte maligne via le liti e regni in mezzo a noi Cristo Dio, cantiamo.
Come Gesù, il Figlio che ha scelto la kenosi, l’autorità che si lascia plasmare dallo Spirito accoglie ogni debolezza e fragilità, diventando espressione dell’umiltà di Dio, che coincide con l’amore. È l’accoglienza della vulnerabilità e della povertà, che resiste alla violenza quotidiana, e testimonia la riconciliazione e la pace. Chi vive nell’umiltà e nella povertà questo servizio, accoglie ogni durezza, come Cristo, senza smettere di amare, imparando giorno per giorno, lungo il cammino alla sequela di Cristo, l’arte del vivere. L’arte del vivere sta nel saper accogliere con meraviglia ciò che è quotidiano, nel fare le solite cose come se fosse la prima volta, nel convertire l’ordinario in straordinario. L’arte del vivere è anche l’arte di pensare, l’arte della profondità.«Sua madre conservava con cura tutte queste cose nel suo cuore». Conservava la Parola di Dio, la parola non capita, la risposta brusca, i fatti che stupivano, i semi seminati e non fioriti. Il dono da chiedere al Signore è quello di non arrestarci all’incomprensione, il dono di andare oltre o almeno intuire che c’è un oltre. L’arte del vivere è anche l’arte di saper stare insieme nella casa di Dio, è costruire con la divina grazia la comunione nella diversità dei caratteri e dei temperamenti, ma congiunte dalla comune immagine di Dio che portiamo dentro di noi, Cristo. Più facciamo splendere Cristo in noi e più i nostri cuori batteranno all’unisono con il suo e più saremo unite dal linguaggio dell’amore.
Chiara d’Assisi dice ad Agnese : Tu collocati davanti allo specchio, fissa gli occhi nello splendore della luce di Dio e sarai trasformata nell’immagine sua. Chiara comprende bene che solo attraverso la contemplazione, la preghiera, il rapporto tra l’immagine e la copia può riaversi e può portare la somiglianza perfetta. Cristo
Concludo con una riflessione di Michelina Tenace, autrice di “Custodi della Sapienza Il servizio dei superiori, 2007.
Ogni persona spirituale è in realtà “come una donna che porta nel suo grembo un figlio…porta realmente in modo cosciente Dio dentro di sé, come luce”. Anche essendo solo “ombra e terra, l’uomo porta dentro di sé Colui dal quale dipende e trae la vita, tutto ciò che esiste”.
Governare con sapienza significa aderire a questa visione che Dio ha impresso nel creato come bellezza e ha riversato nel cuore degli uomini come vita divina. Più il mondo incarna la sapienza, più esprime il pensiero di Dio mentre creava il mondo, più manifesta unità e bellezza, più è vicino il regno di Dio. Chi governa una comunità religiosa partecipa quindi alla realizzazione del progetto sapienziale di Dio sulle persone in quanto la vocazione di ognuno non ha altro scopo se non quello di far risplendere la vita divina che Dio ha dato all’uomo. Tramite il dono della sapienza, siamo resi capaci di vivere nel creato come in un paradiso, accanto e insieme alle persone come nel cuore della Trinità lodando Dio partecipando alla sua stessa vita.
A laude di Cristo. Amen.
Madre Maricla
Assisi, 28 giugno 2007