2. Chi era Mons. Francesco Saverio Petagna? Il Servo di Dio nacque a Napoli il 13 dicembre 1812, quintogenito di Domenico Petagna, orafo, e di Angelica Cataldo. Fu battezzato il giorno della nascita. Il dono della fede, ricevuto in seno alla famiglia profondamente cristiana, fu luce che lo guidò fin dall’infanzia verso l’adempimento gioioso dei suoi doveri e la scoperta della sua vocazione. Ricevuta la Cresima il 5 marzo 1827, nel maggio successivo accolse l’invito del Signore al sacerdozio ed entrò nel Seminario Arcivescovile di Napoli. Completato l’iter formativo, fu ordinato presbitero il 19 dicembre 1835, a 23 anni con dispensa sull’età. Trascorse i primi anni di ministero, fino al 1849, a Napoli dedicandosi con zelo a diversi impegni: la predicazione, gli incontri serali con i fedeli, specialmente giovani, il servizio pastorale dei malati gravi e dei carcerati, l’educazione e la tutela delle ragazze povere e orfane. Fu inoltre docente di Sacra Scrittura e di Teologia dogmatica ai giovani chierici del Seminario locale. Nell’esercizio del ministero evidenziò un comportamento ispirato alle virtù, che caratterizzano l’apostolo: la ricerca sincera della verità alla luce della dottrina evangelica, la pazienza longanime, la mansuetudine affabile, la prudenza discreta, il fervore delle opere, la purezza dello stile di vita, l’amore ardente a Dio e al prossimo. Accanto a questo rilevante zelo apostolico, la personalità del Servo di Dio si manifestava e si profondeva anche nell’impegno culturale. Intelligenza acuta, nel 1841 fondò la rivista cattolica La scienza e la fede, con l’obiettivo di
dimostrare, nel dibattito culturale del tempo, la compatibilità tra le discipline scientifiche e il sapere teologico,
L’11 gennaio 1850 venne nominato Vescovo di Castellammare di Stabia dal re Ferdinando II di Borbone, nomina confermata dal Papa Pio IX il 20 maggio successivo. Il 16 giugno 1850, a Napoli, fu consacrato Vescovo dal Venerabile Servo di Dio il Cardinale Sisto Riario Sforza. Il medesimo giorno indirizzò ai suoi diocesani la prima Lettera pastorale, nella quale tracciava il programma del suo ministero episcopale: quello di rinnovare la vita cristiana e dì accendere in tutti, clero e fedeli, l’ideale della santità. Il 24 giugno successivo fece l’ingresso nella diocesi. Rivolse le sue prime cure al seminario, in vista della formazione del giovane clero. Intensa fu la sua promozione della predicazione della Parola di Dio e dell’istruzione dei fedeli, delle attività caritative a favore dei poveri e degli emarginati. Vescovo zelante e operoso, prestò particolare attenzione ai problemi sociali e politici del suo tempo, dando esempio di vita semplice e povera.
Nel 1860, in seguito ai moti che portarono all’unità d’Italia, fu inviato in esilio a Marsiglia, dove rimase fino ai 1865, lasciando esempio di ammirabile semplicità, rivelandosi pastore solerte nella predicazione, nell’assiduità al confessionale e nell’amministrazione dei sacramenti. Finalmente, dopo un breve periodo di permanenza a Roma, il 14 dicembre 1866 poté rientrare nella sua diocesi e riprendere con rinnovato slancio il suo ministero. Anzi, proprio gli ultimi dodici anni di episcopato furono i più ricchi di realizzazioni. Il Servo di Dio si adoperò nel far sorgere fondazioni per rispondere alle esigenze dell’ epoca e promosse con particolare vigore la pastorale familiare. Nel 1869-1870 partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano I, durante il quale difese il dogma dell’infallibilità pontificia.
L’anno seguente fondò l’Istituto delle Vittime dei Sacri Cuori, oggi Congregazione delle Religiose dei Sacri Cuori, e per questa comunità scrisse le regole e costituzioni.
Affetto da leucemia, il Servo di Dio accettò con serenità quest’ultima prova. Morì a Castellammare il 18 dicembre 1878. Il suo funerale vide una notevole o sentita partecipazione dei fedeli, segno di una fama di santità che lo aveva accompagnato in vita e che andò crescendo dopo la morte: Il 15 dicembre 1907 i suoi resti mortali furono traslati nella cattedrale.
3. Quali sono le note più rilevanti della sua santità? Anzitutto Mons. Petagna fu un uomo di fede. Soleva dire: «la fede mette nelle nostre mani un giusta e sicura bilancia, da pesarvi dentro tutte le cose del tempo e, misuratele con la luce dell’eternità, trovarle di nessun valore e perciò indegne della nostra stima e dell’amor nostro». La fede quindi è discernimento sapiente delle persone e degli avvenimenti alla luce della parola di Dio. La fede non è la conclusione di un freddo ragionamento, ma del sacro fuoco dell’amore divino. Nella vita terrena noi camminiamo tra il buio di una notte di tempesta e la fiamma viva della fede, che è il faro sicuro per non smarrire l’orientamento e per tornare in porto sani e salvi.
Per il nostro Venerabile la fede è l’ascolto, l’accoglienza e l’adesione cordiale al Vangelo di Gesù e al magistero della Chiesa. Confidando nella divina rivelazione, il credente vive una esistenza saggia e umanamente vantaggiosa. La fede non sostiene solo la comunione nella Chiesa, ma costruisce e favorisce anche la convivenza sociale, nella fraternità, nella condivisione, nella solidarietà. Se si attingesse a larghi sorsi alla scienza celeste, che sgorga a torrenti dalla parola dì Dio, si vivrebbe non nell’ignoranza e nell’errore, ma nella verità e nella libertà. Senza Gesù Cristo, via, verità e vita, tutta la creazione è come avvolta da un nero manto di nebbia: le difficoltà aumentano, le contraddizioni Si accrescono, le assurdità si moltiplicano, la storia diventa una tragedia immane e l’universo un grande disordine: «Rimettete Gesù Cristo nel caos del mondo; è il sole che brilla nello spazio. Cori lui tutto è chiaro». La fede genera speranza e ottimismo ed è una ventata di aria fresca nell’atmosfera viziata dallo smog della cattiveria. Questa sua fede trovava una manifestazione concreta nella pietà fervorosa, nella celebrazione devota della Santa Messa, nell’amore filiale all’Immacolata, nell’amministrazione dei. sacramenti: “Se [il Venerabile] predica dal pulpito la divina parola, essa è condita da tale evangelica verità, da farlo sembrare un novello San Paolo. Nell’ascoltare le confèssioni sacramentali, adopera tanto zelo e prudenza, che i più cospicui personaggi si affidano a lui per la direzione spirituale». Esperto conoscitore della Sacra Scrittura e delle opere dei Padri della Chiesa, nutriva la sua predicazione di dottrina sana e sicura. Sentendo l’urgenza di testimonianze concrete di vita cristiana vissuta nella sequela Christi, Mons. Petagna favorì la presenza delle Suore Alcantarine, delle Suore Compassioniste, delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, fondando anche una sua propria Congregazione, quella delle Religiose dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Certo, la fede è invisibile, ma viene resa visibile nelle persone sante e udibile dalla predicazione della parola di Cristo. Per questo occorre che i battezzati confessino senza rispetto umano la propria fede per essere un giorno riconosciuti da Cristo. Per istruire i fedeli, grandi e piccoli, nei misteri della fede, mise in atto numerose iniziative. Ad esempio, nella Quaresima dei 1857, dispose che dodici sacerdoti insegnassero la dottrina cristiana nella parrocchia della Cattedrale stabiese e otto sacerdoti nella parrocchia dello Spirito Santo. Lo stesso scopo si prefiggevano le cosiddette cappelle serotine, per l’istruzione dei giovani e per difendere la fede dall’incredulità e dall’ignoranza. Si tratta di esempi di nuova evangelizzazione ante litteram.
Questa sua fede solida e ben motivata, sosteneva la virtù della speranza, dal Petagna esercitata in modo eroico nella sua diocesi e durante l’esilio in Francia, a Marsiglia. Soleva raccomandare ai suoi diocesani di vivere sereni e di abbandonarsi fra le braccia della divina Provvidenza con confidenza filiale. Nelle sue raccomandazioni, indicava sempre il fine dell’esistenza umana:
«Sulla terra siamo pellegrini viandanti. Il cielo è la nostra patria […], perciò il vero cristiano usa e si serve delle cose temporali e terrene senza perdere di mira quelle eterne e celesti». Di fronte all’incomprensione e all’ostilità, egli reagisce con mitezza e gentilezza, come bianca colomba, che con volo leggero si allontana dalla melma e dal fango.
4. Una seconda nota caratteristica della sua spiritualità, del suo apostolato e della sua santità è la carità. In mezzo alle difficoltà e alla persecuzione emerge tutto l’eroismo della sua carità. Scrivendo dall’esilio francese, egli fa proprie le parole dell’apostolo Paolo: «In grande afflizione e ansietà di cuore, vi scriviamo con molte lagrime, non per contristarvi; ma affinché conosceste la carità che abbiamo abbondantissima verso di voi» (2Cor 2,4). Per lui la devozione al Sacro Cuore di Gesù era la calamita che attirava con soavità, forza e dolcezza tutti i pensieri di bontà e di carità. Il Petagna è stato paragonato a quell’angelo dell’Apocalisse che, con in mano il libro della parola di Dio, aveva il piede sinistro sulla terra e il piede destro nel mare della divina carità (cf. Ap 10,2),
La carità è la virtù che fa i santi. Essa dimora negli abissi dei cuori, suscita l’amore e consola il dolore. Mossi dalla carità, la Suora si accosta al letto dell’ammalato, il Missionario si fa araldo del Vangelo in terre lontane, il Sacerdote diventa formatore delle anime, educatore dei giovani, guida delle famiglie, maestro. degli ignoranti, soccorso dei bisognosi, conforto dei disperati. Un testimone afferma: «Mons. Francesco Saverio Petagna […] fu una copia conforme del gran Vescovo di Ginevra S. Francesco di Sales. […] Fu puro nel pensiero, singolare nell’opera, raccolto nei silenzio, utile nel parlare, sollecito nella compassione, elevato nella contemplazione […] animoso contro i vizi dei colpevoli, nelle occupazioni esteriori non venne mai meno alle cure dei vantaggi spirituali e nelle conversazioni dei beni eterni non trascurò mai di provvedere con zelo alle cose temporali».
Mons. Michele De Jorio aggiunge: «Che dirò di Mons. Petagna? […] Tutte le doti che debbono adornare un vescovo si raccolgono nella pietà sincera e profonda, nella sana e pura dottrina, nella carità tenera e pronta [..]. Egli è il martire della carità, l’angelo consolatore delle miserie umane, nel tugurio del povero come nei palazzi dei ricchi […] Tenero di cuore, mostrò compassione verso i poveri e gli infelici».
Mons. Petagna esortava i sacerdoti dicendo: «Figli, siate buoni; siate pii e zelanti, siate apostoli della gloria di Dio […]. Alle Suore inculcava: Figlie, fatevi sante, tende alla perfezione e pregate, pregate per le anime».
Di lui si afferma: “Sentiva di aver amato tutti e odiato nessuno. Specialmente nel clero, sentiva di aver avuto sempre il suo cuore affettuoso e lo dichiarava”.
Fu veramente il Pastore buono e zelante, che amava tutti con cuore di padre, recandosi negli ospedali per assistere gli ammalati, nelle carceri per sollevare i detenuti, nelle abitazioni della sventura per portarvi consolazione. La sua carità era evangelica, esercitata in modo che la mano destra ignorasse quanto si praticava dalla sinistra. Sapeva soccorrere senza umiliare e senza fare arrossire. Tutte le sventure egli accoglieva nel suo cuore buono, soccorrendo le vedove, gli orfani, i disoccupati, i sacerdoti indigenti, gli emarginati, i nobili diseredati, gli storpi, i pezzenti. Il suo cuore era il cuore di Cristo. Questa sua fiammante carità non fu per niente spenta dalle acque putride della calunnia e dell’ingratitudine. Anche dall’esilio non dimenticò i suoi figli, afflitti dal dolore e dalla miseria, soccorrendoli generosamente con il frutto delle sue fatiche apostoliche. Alla sua morte le lacrime dei poveri da lui soccorsi caddero nel seno di Dio e piovvero come rugiada benefica su tutta la diocesi di Stabia in benedizione eterna.
5. Questa sua esistenza virtuosa era impreziosita da una terza caratteristica e cioè dalla virtù dell’umiltà, finestra sempre aperta ad accogliere la grazia divina. In lui rifulse la mitezza dell’umiltà, autentico gioiello della sua corona spirituale. L’umiltà era la virtù che più lo conformò a Nostro Signore Gesù Cristo, mite e umile di cuore. Con umiltà e fortezza affrontò le numerose prove della sua vita. Costretto all’esilio in Francia, la sua fama di pastore buono e santo non solo non si spense ma si accrebbe enormemente. Il popolo e i giornali francesi fecero a gara nel magnificarne le virtù di apostolo zelante, di pastore vigilante e di padre sollecito verso i suoi figli. Fu amato e venerato anche a Marsiglia. E quando fu l’ora del ritorno in patria il dispiacere dei francesi per la sua partenza fu enorme. La cronaca ci informa che il 5 novembre del 1865, sacerdoti e fedeli, tra i quali molti laici di alta condizione sociale, si riunirono alla stazione ferroviaria per ricevere la benedizione d’addio del santo vescovo di Castellammare.
6. Il decreto sulle virtù eroiche di Mons. Petagna è un segno provvidenziale in questo anno della fede, per ricordare a tutti noi a diventare, come lui, testimoni della fede, operatori di carità e esempi di santità.
Per le Religiose dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, il riconoscimento dell’eroicità delle virtù del loro Fondatore deve essere uno sprone a tener fede al loro carisma di avere, come Gesù, un cuore buono e generoso, e come Maria, una cuore materno e misericordioso. Infatti, secondo le indicazioni del fondatore, le Religiose si impegnano nell’imitazione di Gesù Cristo, Vittima d’Amore Immolato per gli uomini, e nella disponibilità al servizio per le esigenze della Chiesa e della società.
La Beata Vergine Maria, madre della Chiesa e aiuto dei cristiani, ci guidi sui sentieri della vita buona del Vangelo.