Francesco Saverio Petagna (1812-1878) fu educatore appassionato come ogni solerte pastore di anime. Ma come Vescovo e Fondatore, propose e diffuse anche una speciale pedagogia epica. Anzitutto approfondì e teorizzò aspetti tanto positivi della civiltà del tempo, generalmente trascurati dai pedagogisti contemporanei, troppo spesso inquinati di agnosticismo. Colpito nella carne e nel cuore dagli attacchi portati alla Verità e alla Chiesa, chiamò a raccolta gli spiriti eroici e trovò nel “sesso debole” quella forza superiore di cui c’era bisogno per arginare gli errori e lo addestrò all’epica battaglia combattuta dall’amore contro l’odio settario e, così condusse tutti al canto della vittoria. Egli avvertì e condivise tutta la tensione riguardo al problema tanto dibattuto tra “scienza e fede”, ma ancor più fu preso dall’impegno oblativo che gridava la sua esigenza di una nuova educazione che concedesse più spazio alla libertà dell’uomo e all’amore eroico come aveva intuito l’epica e il romanticismo. Egli cercò di attuare questo amore nella sua vita di colto e di sacerdote, e poi volle diffonderlo con la creazione dell’Istituto delle suore “Vittime dei Sacri Cuori”, alle quali — con le Regole del 1871 — tracciava le linee maestre dell’epica “pedagogia della vittima”, a cui accorsero numerosissime le giovani napoletane, orgogliose d’essere ingaggiate nella battaglia generosa che intendeva donare soltanto amore sacrificale. Questa sua pedagogia è anzitutto pastorale e vuol attuare il progetto educativo del Cristo. Ma, proprio per questo, la sua pastorale è eminentemente diretta alla formazione della persona; questa formazione della persona tende a far crescere l’individuo nella sua dignità, nel bene, nel vero, nell’utile, nella comunione con i fratelli in modo eroico, per puro amore dell’ideale, del dovere, della lotta fino al sacrificio di sé. I canoni pratici di questa pedagogia della vittima sono: “sii te stesso”, per dominare la natura; “segui la ragione”, per superare l’impressione; “rinnovati costantemente”, per essere vigorosa nell’attuare l’ideale cristiano; “dona tutto quello che hai” (sacrificalo), e diverrai quello che ancora non sei.
Francesco Saverio Petagna eredita tutto l’ideale romantico dell’eros (vittima del Fato) che costituisce la cultura del tempo (cf. Antigone di Sofocle, Faust di Goethe, Lucia del Manzoni, l’io del Leopardi), ma lo approfondisce e lo eleva allo stato cristico della Vittima, che è l’Agnello che “toglie il peccato del mondo”. La catarsi poetica diventa purificazione pedagogica e guida la vittima a superare l’insufficienza dell’autosufficienza dell’uomo col “peccato” distaccato dall’Intero; ristabilisce l’unione col divino Originale; “restaura” con l’azione l’ “immagine” di Dio nel soggetto umano; sublima la persona redenta conducendola alla trascendenza ineffabile della Vittima; sicché le deboli creature pervengono alla sovrumana fortezza della grazia attinta dall’Amore. Da questa posizione, il Petagna inizia il superamento definitivo della cd. “pedagogia del sacrificio”, tradizionale in alcune pagine della disciplina castigante del VT (cf. Deut. 8,5), praticata dal militarismo spartano, prussiano e di ogni tempo dal “doverismo” kantiano e stakanovista, nonché da certo masochismo; e fa posto alla persona libera che cerca il battesimo di purificazione per essere-insieme al Figlio in cui il Padre si compiace, e si offre vittima di espiazione per essere perfetto come splendore del Padre. La persona-vittima, nel suo essere nel mondo, non è una castigata-inibita, ma una liberata unita alla volontà salvifica di Dio, la quale perviene ad una speciale dotazione per cui diventa beata come il sale che dà sapore e lucerna che riscaldando illumina: gode della dolcezza sovrumana della grazia; sente l’attrattiva irresistibile della vocazione alla luce; incede spedita nella sequela dell’Agnello; e, con questo mite pedagogo, avanza sicura e serena nella via che riconduce alla casa del Padre. Ecco allora nascere il nuovo concetto di vittima petagnano: anime le quali “pesate le terrene cose con la bilancia dell’eternità”, reputano “al caldo del divino amore” come immondezza da cui purificarsi i piaceri di quaggiù, e ad altro non aspirano che a fuggire il mondo per far lucro di Gesù Cristo. E siccome “il talamo del loro Sposo divino è la croce, esse amorosamente congiunte alla croce van ripetendo con l’innamorato Paolo: il mondo è a me crocifisso ed io al mondo”. Le vittime, per mantenersi nel fuoco divoratore sempre gagliardo, vanno in cerca di perenne alimento nella cerchia dei prossimi che sono loro d’attorno, e corrono dovunque trovano nelle creature umane interessi di Dio da difendere, gloria di Dio da zelare, voleri divini da compiere. Così le vittime del Petagna diventano il luogo pedagogico e teologico della vita di amore: dalla Vittima Immolata traggono l’esemplare che eccita le energie per l’espletamento generoso dei compiti educativi; il Maestro Interiore insegna scrivendo nel cuore le linee da seguire e diviene la fonte inesauribile da cui attingono incrollabile fermezza per crescere amorevolmente in unità con Lui, con la Chiesa, con il prossimo. Nello stato di vittima, “all’ombra di colui che avevo desiderato mi assisi; il suo frutto al mio palato fu dolce” (Ct 2,3 citato in Regole 32).
La vittima consacrata vuol vivere una vita in-Cristo secondo la teologia-pedagogia di Paolo: “vivo-con-Lui”; “sono concrocefisso” con Lui; “per me morire [da vittima] è un guadagno”; perché “conLui-risorgo”. Le vittime consacrate si uniscono alla Vittima Immolata per partecipare alla tenerezza dell’Amore-che-si- dona ed essere così introdotte all’adorazione, ossia a quella speciale forma di vita in cui — come in una respirazione bocca a bocca — si prendono i giudizi, i sentimenti, gli impegni ed i ritmi operativi della Vittima. Petagna pedagogo conduce l’educatrice-vittima ad esercitare l’educazione come atto concreto di carità, per cui sentendosi amati, s’invita l’educando a donarsi all’amore. Il compito dell’educatrice-vittima è quello di accompagnare le fanciulle alla casa del Padre, istillando “la dolcezza della pietà cristiana nei loro cuori”. Le vittime, offrendosi e purificandosi, “sentitamente umili, profondamente mortificate, unite di cuore il più che possibile a Gesù […] e strette da forte vincolo d’amore tra loro”, “si perdono interamente in Dio con l’amore, perché Dio operi in loro il bene per i prossimi con carità”.