L’anno di nascita di mons. Petagna coincide con l’inizio della fine» dell’astro napoleonico, cioè con la campagna napoleonica di Russia nel 1812. Napoleone aveva portato il consolidamento in tutta Europa della rivoluzione borghese, nota comunemente come rivoluzione francese. Questa rivoluzione aveva messo in moto due processi, che interesseranno tutta la vita e le attività del Servo di Dio.
1. Il primo processo è quello degli Stati Uniti nazionali. Il concetto fondamentale su cui il processo si regge è il seguente: ogni nazione tende a diventare Stato autonomo e indipendente, perché attraverso le strutture proprie di uno stato, l’identità nazionale raggiunge il massimo delle sue potenzialità, la massima affermazione, Veramente il processo di formazione degli Stati nazionali era nato con la formazione dello Stato francese, dello Stato spagnolo, dello Stato inglese, dello Stato portoghese, dello Stato svedese: tutte entità politiche facenti capo ad altrettante monarchie. A un certo punto si era arrivati a una specie di equilibrio e di stasi tra queste entità statali a base nazionale ed altre entità di tipo plurinazionale — come il Sacro Romano Impero — in cui le «nazionalità » venivano riconosciute e rappresentate a livello statale.
Rimanevano poi larghe aree d’Europa semplicemente incorporate in imperi extraeuropei, come quelle abitate dai Greci, dai Bulgari, dai Serbi, dai Rumeni, oppure frazionate in Stati minori vassalli dei grandi Stati, cosa che avveniva in Italia. Il Congresso di Vienna, nel 1815, tende a cancellare i fermenti nazionalistici, che la Rivoluzione francese e Napoleone avevano disseminato nell’Europa, ricostruendo la mappa politica quasi perfettamente com’era prima, seguendo il principio della legittimità. Tuttavia, la storia non si può fermare.
L’età in cui visse mons. Petagna è seminata dall’esplodere irrefrenabile del processo di formazione degli Stati nazionali. Nel 1821 è la Spagna il teatro d’una rivoluzione che si conclude sotto gli spalti del castello del Trocadero. Nel 1830 la rivoluzione borghese esplode a Parigi e l’anno seguente in Italia, dove si forma il governo delle Province Unite, con sede a Bologna, fino all’intervento dell’Austria e all’infelice repressione della libertà. Nel 1848 va a fuoco tutta Europa; in Italia si combatte la prima guerra d’indipendenza. Nel 1860 e poi nel 1870 il processo riprende, in Europa e in Italia, e si conclude in quest’ultima con la caduta di Roma in mano ai soldati dell’esercito nazionale. Nei decenni seguenti, compresi quelli superficialmente splendidi e noti sotto il nome della «Belle époque», il processo arriva a maturazione e provocherà la prima guerra mondiale, dopo la quale più o meno tutte le nazionalità europee diventeranno altrettanti Stati.
2. Il secondo processo riguarda la ridefinizione dei rapporti tra la Chiesa e gli Stati. Forse bisognava, collateralmente, inventare nuove categorie secondo le quali impostare tali rapporti. L’Unità politico-religiosa della cristianità, culminata nel Sacro Romano Impero medievale, rappresenta il modello ideale dei rapporti fra Chiesa e Stato. Modello che sostanzialmente non viene sostituito neanche quando via via le nazioni si staccano, organizzandosi in altrettanti Stati, all’epoca delle monarchie nazionali. Infatti, anche in quegli Stati, la Chiesa conservava una posizione di monopolio dei valori religiosi e morali dei popoli europei. Si pensi, ad esempio, ai rapporti tra Chiesa e Stato nella Spagna dell’epoca in parola. Vi è di più: con la stessa Riforma protestante non si intende sostituire o eliminare la Chiesa e il suo monopolio, ma semplicemente di sottoporla e di integrarla nella sintesi superiore dello Stato. Solo con la Rivoluzione francese si opera il tentativo di togliere alla Chiesa e al cristianesimo il monopolio dei valori. La Dea Ragione rappresenta visivamente un processo più profondo di emancipazione della ragione dalla fede nell’area cristiana. Dopo la rivoluzione francese, come è stato scritto autorevolmente: «Tutte le Chiese cristiane dell’Occidente (si sono trovate davanti) una grave crisi non solo del loro apparato istituzionale, ma anche del loro sistema di valori.
Divennero forze dominanti la politica, la filosofia come riflessione essenzialmente libera sul mondo e il suo senso, le scienze particolari e la loro applicazione nell’ambito della ricerca storica e tecnica. Non più Dio e il suo ordine inviolabile, ma l’uomo e le sue possibilità determinavano l’impostazione dei problemi. Per questa ragione il problema della verità venne sempre più soppiantato dal problema dell’utilità. Data la molteplicità e la antiteticità delle varie posizioni, la tolleranza sembrava imporsi da sé. Essa non veniva più giustificata, come in Lutero, in base al divieto della coercizione alla fede, ma in parte con lo scetticismo, in parte con l’indifferenza, in parte con l’opportunismo relativamente al comportamento pratico. Nella gerarchia delle norme guadagnarono posizioni sempre più alte la ragione di Stato e l’autonomia personale. Tutto ciò richiese nei fautori del cristianesimo un orientamento completamente nuovo. Questo non si attuò, ovviamente, tutto in una sola volta (…). In tutte le epoche (…) la Chiesa aveva avuto carattere pubblico, sia come atteggiamento spirituale, sia come «ideologia», sia anche come istituzione, cioè come sistema di vita organizzata e regolata da norme giuridiche. La Chiesa poteva avanzare diritti e assicurare protezione, poteva prendere iniziative di carattere nazionale e culturale, poteva introdurre i criteri cristiani nella moralità generale, giuridicamente garantita e socialmente riconosciuta (…). Tutto questo ebbe Fine nell’età moderna.
Le Chiese, ovvero le «società religiose», ora concepite come società in linea di principio private, secondo il principio generale della tolleranza dovevano essere considerate in modo paritetico, per lo più in proporzione alle loro dimensioni, cioè al numero dei loro membri. Alla luce del ripensamento ecclesiale promosso dal Concilio Vaticano Il, nel nuovo clima che abbiamo descritto, la Chiesa poteva benissimo trovare il suo posto in quanto portatrice della sua proposta di salvezza all’uomo tutto preso dalle prospettive del progresso storico. questo il significato della testimonianza cristiana attuale in cui il cristiano ha assunto la sua posizione di minoranza stimolatrice all’interno delle problematiche umane. Tuttavia, bisogna tener presente che la generazione cui apparteneva mons. Petagna, era erede dell’adagio Europa seu Christianitas, cioè dell’identificazione tra società europea e società cristiana. Infatti, se i politici pensavano alla restaurazione in termini di ricostruzione dell’assetto pre rivoluzionario, per i cattolici lo stesso termine era carico di velleità di ricostruzione d’una società cristiana, cioè d’una società che vivesse dei valori evangelici e non ne ammettesse altri, quindi integralista come nei secoli passati. Il nuovo in arrivo non fu compreso, come risulta da molti indizi, assai chiari alla luce degli eventi successivi. Per esempio, si è detto che mons. Petagna concesse che il plebiscito per l’annessione del Regno Borbonico alla dinastia sabauda si facesse, a Castellammare, addirittura nella cattedrale. È probabile che il Servo di Dio non cogliesse tutta la portata e le conseguenze dell’evento. Anche dopo la presa della Bastiglia (14 luglio 1789) si celebrarono molte Messe per festeggiare l’evento, come si trattasse di un fatto alla stregua di molti altri verificatisi nel corso del tempo. Però la successiva « Costituzione civile del clero » collocava i membri del clero sul piano degli altri cittadini dello Stato.
Il 14 luglio aveva voltato pagina, anche se la Chiesa non se n’era accorta. Fu davanti a quella costituzione e al successivo giuramento da prestare allo Stato, come dei normali funzionari governativi, che tanti membri dell’alto e del basso clero scelsero la via della resistenza contro chi li voleva snaturare. Non era facile, né da parte della Chiesa né da parte della società civile, trovare modalità nuove di convivenza che rispettassero la natura e i ruoli delle due società. In questo crogiolo culturale si trovò a vivere e operare da responsabile della vita della Chiesa, come vescovo, mons. Francesco Saverio Petagna. In questa situazione egli dovette operare, impartire direttive, pronunciarsi nel più alto consesso della Chiesa, cioè nel Concilio ecumenico cui prese parte. L’elaborazione meditata e organica del suo pensiero si trova in una sua opera postuma intitolata La scienza cattolica, stampata a Castellammare nel 1897, quasi vent’anni dopo la sua morte. Analizzando queste pagine, cercherò di ricostruire su quali basi il Servo di Dio concepisse il rapporto tra fede e scienza.