Incontro di preparazione, con le suore a Roma, per l’animazione da tenersi in Castellammare di Stabia
Voi siete la luce del mondo dice Gesù ai suoi discepoli. Non si accende una luce per metterla sotto il moggio, ma sul candeliere perché faccia luce a tutti.
Il nostro Francesco Saverio la luce, ricevuta al fonte battesimale, l’ha tenuta sempre accesa, alimentandola con la preghiera, con l’ascolto fedele della Parola, con la sua docilità alla grazia, con l’olio della carità. Francesco Saverio Petagna ha assorbito la luce dalla Parola che è stata il suo pane quotidiano, si è lasciato illuminare da essa, diventando così il riflesso della luce divina.
Dammi senno e cognoscimento, pregava Francesco d’Assisi; questa preghiera ha accompagnato sicuramente anche Francesco Saverio Petagna da giovanissimo. Ha amato lo studio, non per vanità mondana, bensì per conoscere la Verità, farsi illuminare e a sua volta aiutare gli altri nella conoscenza. Afferma mons. Sarnelli: «Fece tale progresso nella pietà e nello studio che, ancor minorista, fu dato come maestro di lettere ai chierici», aveva 17 anni! La sua maturità, raggiunta con l’amore allo studio, permise di anticipare il diaconato e il sacerdozio, a 23 anni. Uno studio fra tutti lo attraeva di più: la Sacra Scrittura. Di questa materia volle diventare profondo conoscitore e arrivò al punto di rendersi esperto delle lingue greca ed ebraica per interpretare gli originali della parola di Dio. Conosceva bene anche il francese, l’inglese, il tedesco e perfino il polacco.
A 38 anni fu consacrato vescovo di Castellammare di Stabia.
Dice il Concilio Vaticano II in Christus Dominus
«I vescovi, in virtù della loro sacramentale consacrazione…esercitano a vantaggio della porzione del popolo di Dio l’ufficio di insegnare, di santificare e reggere».
Mons Petagna sarà il testimone di Cristo, nell’attuare al cospetto di tutti questo programma. La sua opera pastorale non ha tralasciato nessuno: sacerdoti, seminaristi religiosi, religiose, poveri, malati, orfani, donne sfruttate e abbandonate; per ognuno si è speso, ha donato la sua parola di chiarezza e di incoraggiamento e ha creato strutture per migliorare la loro vita. Si prese cura anche delle chiese, ne migliorò alcune, tante ne fece costruire, come la chiesa dell’Annunziatella, san Vincenzo Ferreri, san Francesco Saverio come cappella serotina, la chiesa di Porto Salvo, fatta dipingere e abbellire prima di andare in esilio, per offrire alla gente del mare un asilo sicuro e potente in Maria Santissima protettrice della navigazione attraverso i mari tempestosi. Fece ingrandire e decorare la cattedrale…
Partecipò al Concilio Vaticano I e il 21 maggio 1870, parlò della infallibilità del Papa.
Non è stata facile la vita del Petagna, tante difficoltà, la malattia già da ragazzo, che lo costrinse a interrompere gli studi, le incomprensioni con parte del clero e con la badessa Rota, le situazioni politiche, l’esilio, la leucemia, lo hanno raffinato come l’oro nel crogiulo. Sempre ha ripetuto Fiat voluta Dei.
Il Signore l’ha reso forte e coraggioso. Non è scappato dinanzi alla croce; ha avuto la forza di stare nelle situazioni difficili, con la sola certezza di avere il suo Dio vicino, come buon Pastore.
Scrive il 30 gennaio al Capitolo Cattedrale: “Questa miserabile natura schiamazza e grida forte ad ogni semplice stretta del torchio della croce; è mano di padre amantissimo quella che colpisce e che sa bene al bisogno distillare il balsamo dove aveva distillata la mirra”. E questa croce, per l’amore di Dio, gli diventa dolce.
In una sua Istruzione pastorale così leggiamo: Innestiamo il nostro cuore a quel Divin Cuore per formarvi come gemebonde tortorelle in caro nido continua dimora, e per rifuggirci dalle insidie de’ nemici come in amorosa caverna…
Finché non verrà il gran giorno della eternità […] noi cammineremo sempre fra il buio di tenebrosa notte; e l’accesa lampada della fede dovrà essere la sola guida ai nostri passi vacillanti e incerti per sentieri caliginosi e pieni di precipizi.
La sofferenza non lo indurisce, ma lo trasforma in nuova creatura, fino ad arrivare a un sempre più forte spirito di immolazione, come si evince dalla lettera 2 gennaio 1863:
Non manco di tener presenti tutti avendomi innanzi la vittima incruenta e così si rianima il coraggio allo spirito d’immolazione. Fate sempre lo stesso per me ed in tal guisa, nell’unico delizioso commercio che può affrancarci dalla gravezza del dolore […]. Non ho mancato innanzi a Dio di farvi i più felici auguri di coraggio nella lotta, di generosità nelle sofferenze, di zelo nel ministero sacerdotale e di molto incremento nella santità della vita per assicurarvi la corona dell’immortalità beata”.
“S’aggiunga poi che tutto quello che fo per le anime qui l’offerisco a Dio pel bene della mia Diocesi; e per questa appunto offeriscono ancora le molte anime da me dirette, tutto quello che fanno in opere buone, in mortificazioni, in preghiere”.
A questo punto la carità del Petagna ha maturato il fiore più bello dell’amore verso Dio: la partecipazione al dolore di Cristo, l’offerta generosa dell’espiazione, l’ingresso ecclesiale nell’olocausto.
Egli ha nella mente e nel cuore le Religiose dei Sacri Cuori (“Vittime”) alle quali assegna un’attività del suo spirito: “l’amore divino che bevono a larghi sorsi da questa fonte perenne [il Cuore di Gesù Vittima d’amore] le rende ogni ora maggiormente bramose di concorrere con l’opere al bene delle anime per vederne grandemente glorificato Iddio”; dalle Vittime dei Sacri Cuori richiedeva che “in presenza di Gesù” si tenessero unite “in spirito e col cuore dappertutto”. “Le Vittime dei Sacri Cuori meditino spesso queste parole: non formano che un cuore ed un’anima sola; procurino di attuarle e realizzarle nella famiglia religiosa ed anche nelle relazioni col mondo”
“La carità è il perno su cui debbono aggirarsi continuamente le opere del cristiano; la carità la molla da cui deve avere la spinta tutta la sua giornaliera condotta”
E la carità che prende il Petagna e lo eleva sull’altare dell’ immolazione vittimale è un esercizio eroico costante del Servo di Dio: non lo dimentica mai, nemmeno nelle lettere di augurio; anzi è proprio questo amore che costituisce la sostanza degli auguri stessi con le persone che gli sono vicine nello spirito.
Al Capitolo della Cattedrale il 29 marzo 1866, da Roma scrive:
“Per gli auguri, facciamoli reciprocamente nel giorno della S. Pasqua, quando avremo nelle mani l’Agnello Divino immolato per noi, e preghiamolo con amore intenso che ci formasse vittime degne di lui. Ed è appunto quello cui mira Iddio nella persecuzione attuale”.
Nel settembre 1875 scrivendo alle Vittime, in occasione degli esercizi spirituali, ripropone la virtù del donarsi tutte all’amore di Dio:
“È necessario che voi li cominciate con bella disposizione di cuore. Questa consiste in volervi meglio dare a Dio, onde addivenire vittime di perfetto amore. Questo non potrebbe mai rimanere bene acceso, e vieppiù infiammarsi se non attendeste a correggere i propri difetti, a mortificare in ogni istante i propri sensi, a morire interamente al proprio giudizio ed alla propria volontà, a distaccare il cuore da tutto e da tutte le creature, insomma a tener solo fisso lo sguardo al Calvario ed al Cielo. Non è sperabile unirvi in questo al vostro Sposo nella beata Eternità, senza stringervi col medesimo Sposo in quello sulla Croce. Badate che il patire, il soffrire, il morire continuo sulla terra è breve, e poi il godere sarà grande in Paradiso preparato apposta alle spose di Gesù Cristo. Riflettete ancora che sebbene tutte le Religiose fossero tali, voi però siete chiamate e dovete essere particolarmente in pratica le sue vittime per amore; né questo può aversi senza un continuato sacrificio di tutte voi stesse”.
La ragione la spiega a suor Adelaide Sanniola con lettera del 6 gennaio 1877:
“Coraggio nella via del Calvario. Fra di voi parlate spesso di cose spirituali. Fate a gara nell’avanzamento dell’amore di Dio. A questo si giungerà facilmente colla pratica e sentimento interno del disprezzo di se stesso, su di cui vi detti un libricino d’oro, che dovreste studiar bene ed approfondire sempre più”.
Ecco, questo è il nostro Petagna, amico di Dio, che vogliamo conoscere, amare sempre più e presentare ai fratelli perché questi possano lodare il Signore che opera grandi cose e volge il suo sguardo ai piccoli, coloro che ripongono la loro fiducia e la loro speranza solo in Dio Salvatore, coloro che rispondono con Gesù: Eccomi, Padre, io vengo per fare la tua volontà.
Coraggio, care sorelle, noi qui presenti, rispondiamo con gioia e generosità all’invito che oggi Gesù ci fa: Alzatevi, andiamo.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
Mi danno sicurezza.
(Sal 23)